Bilancio e contabilità Bilancio d’esercizio

Bilancio d’esercizio: iscrizione del know-how e tecniche di valutazione economica

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Il know-how rappresenta un asset immateriale “nascosto”, in molti casi di rilevante valore, che non viene quasi mai contabilmente valorizzato tra i conti di un’impresa. Per la valutazione degli asset immateriali, e di conseguenza anche del know-how, esistono in dottrina diversi criteri di stima. La scelta del metodo più adatto dovrà di volta in volta essere effettuata sulla base di quelle che sono le variabili che meglio esprimono il valore dell’asset, facendo anche riferimento al grado di dettaglio delle informazioni disponibili. Il Tool di One FISCALE, Modello di valutazione del know how, permette la quantificazione del valore del know-how attraverso l’impiego dei più diffusi metodi di valutazione presenti in dottrina (metodo del tasso di royalty, metodo dei redditi differenziali, metodo del costo sostenuto, metodo del costo di riproduzione).
Con il termine “know-how” (in inglese “sapere come”, nel senso di saper come fare) si fa riferimento a quel patrimonio di conoscenze e competenze aziendali, sviluppate negli anni e strettamente riservate e segrete, che possono riguardare esperienze di studi, formule, informazioni di carattere industriale o commerciale e tutte quelle conoscenze necessarie alla produzione di un bene, all’attuazione di un determinato processo produttivo o al corretto impiego di una particolare tecnologia.
Sebbene non esista una specifica definizione del know-how a livello di Codice civile, diverse sono le disposizioni a livello comunitario che ne descrivono il significato.
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regolamento CE n. 2790/1999 per know-how si intende un “patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate, derivanti da esperienze e da prove eseguite dal fornitore, patrimonio che è segreto, sostanziale e individuato”.
Il know-how rappresenta un valore competitivo di notevole ricchezza per ciascuna impresa e come tale deve essere assolutamente protetto, evitando che possa andare disperso o essere divulgato ai diretti concorrenti. In realtà, tale “asset immateriale”, a differenza del marchio o del brevetto, non è esplicitamente tutelato, ma lo diventa proprio per la sua caratteristica fondamentale, ovvero la segretezza.
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D.Lgs. n. 30/2005 (Codice della proprietà industriale) tutela espressamente i segreti commerciali, intesi come le “informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore”, vietando a terzi l’utilizzo abusivo di tali informazioni strettamente riservate. Lo stesso decreto (art. 98, comma 1), però, subordina la tutela a condizione che le informazioni aziendali siano:
- segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore;
- abbiano valore economico in quanto segrete;
- siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.
Oltre a tali condizioni, è fondamentale, infine, che vi sia un’adeguata documentazione (in forma scritta o informatica) che descriva e attesti in maniera esaustiva l’esistenza e la configurazione del know-how.

Rilevazione del know-how in bilancio

Il know-how rappresenta un investimento aziendale e il suo valore è esposto in bilancio all’interno delle “Immobilizzazioni Immateriali”, caratterizzate dalla mancanza di tangibilità e costituite da beni di proprietà dell’azienda e costi che non esauriscono la loro utilità in un solo esercizio, ma manifestano i loro benefici economici lungo un arco temporale di più esercizi.
Nel caso il know-how sia di proprietà dell’azienda, esso sarà ricompreso all’interno della voce B.1.3. Diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno. Nel caso, invece, esso sia di proprietà di terzi, esso andrà collocato nella voce B.1.4. Concessioni, licenze, marchi e diritti simili.
Il know-how viene iscritto in bilancio al costo storico (costo d’acquisto o costo di produzione) ed è indicato al suo valore netto contabile.
La normativa civilistica, inoltre, impone, così come per tutte le altre immobilizzazioni iscritte in bilancio, che nella Nota integrativa vengano evidenziati i vari movimenti che si sono verificati nel corso dell'esercizio e che hanno comportato modifiche di valore rispetto al periodo precedente ( Questo simbolo indica la disponibilità del documento su One FISCALE

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art. 2427 del Codice Civile).

La valutazione del know-how

Per la valutazione degli asset immateriali, e di conseguenza anche del know-how, esistono in dottrina diversi criteri di stima. La scelta del metodo più adatto dovrà di volta in volta essere effettuata sulla base di quelle che sono le variabili meglio esprimenti il valore dell’asset, facendo anche riferimento al grado di dettaglio delle informazioni disponibili.
In particolare, per la stima degli asset immateriali si può ricorrere generalmente a criteri empirici e criteri analitici.
I primi valutano l’asset facendo riferimento ai prezzi pagati sul mercato in recenti transazioni aventi come oggetto beni immateriali similari, e quindi comparabili, a quello oggetto di valutazione. Tali criteri, in realtà, appaiono di difficile applicazione, dal momento che risulta estremamente difficile trovare sul mercato un numero sufficiente di casi comparabili.
I criteri analitici, invece, hanno un fondamento scientifico indubbiamente più solido. Alcuni di essi hanno un approccio prettamente reddituale-finanziario e il valore dell’asset viene determinato avendo riguardo ai rendimenti futuri attesi (in termini di fatturato, reddito e flussi di cassa generabili). Si tratta, in realtà, di criteri che fondano le loro assunzioni su previsioni di breve-medio periodo, e quindi, su elementi suscettibili di forte variabilità. Altri, invece, si fondano sulla stima dei costi sostenuti o di riproduzione (metodi del costo).
Tra i metodi basati sulla redditività aziendale troviamo i metodi differenziali, che determinano il valore del know-how sulla base del “beneficio differenziale” (in termini di redditi o anche di flussi di cassa) ottenuto dall’azienda in possesso di un proprio know-how rispetto ad una “situazione normale” in cui la stessa ne fosse priva. Esiste poi la metodologia del tasso di royalty, che è molto utilizzata e che fonda la determinazione del valore del know-how sul reddito potenzialmente generabile dalle royalties, cioè dai canoni pattuiti per la concessione in uso del know-how stesso.
I metodi del costo, a differenza delle metodologie reddituali, non considerano i benefici futuri che il know-how potrà generare per l’impresa ma si focalizzano sui dati storici.
In particolare, il metodo del costo sostenuto parte dal presupposto che il valore del know-how risiede nei costi che l’azienda ha dovuto sostenere per la creazione dello stesso know-how. Il metodo del costo di riproduzione, invece, determina il valore del know-how prendendo in considerazione gli investimenti che sarebbe necessario effettuare per avere un know-how del tutto simile a quello da stimare.
I criteri storici restano comunque limitati e non riescono a rispecchiare il reale valore di mercato dell’asset immateriale, dal momento che non prendono in considerazione i benefici futuri che un suo sfruttamento potrebbe generare in termini di redditi o flussi di cassa previsionali.

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